La narcosi da azoto

Introduzione

L’azoto (N2) è un gas, considerato inerte, che costituisce il 78% circa dell’aria che respiriamo, il restante 21% circa è rappresentato dall’ossigeno (O2), l’1% circa dall’argon (Ar) e poi una piccolissima percentuale da altri gas tra cui l’anidride carbonica (CO2).


In questo articolo scopriremo come un gas inerte come l’azoto può divenire pericoloso per la salute umana.

Molto probabilmente la maggior parte di voi non ha mai sentito parlare di “narcosi da azoto”; questo è del tutto normale, dato che non è una cosa che si verifica o di cui si sente parlare tutti i giorni, però se conoscete qualcuno appassionato di immersioni, lui sicuramente saprà di cosa si tratta.

La narcosi si definisce come uno stato di sonno profondo, che viene normalmente indotto da anestetici generali o da alcune droghe, ma che può essere anche causato, in certe condizioni, dall’azoto.

In che condizioni l'azoto diventa tossico?

La condizione principale che porta a narcosi da azoto è l’aumento di pressione che si verifica immergendosi ad elevate profondità e che porta ad una maggiore quantità di gas disciolto nel sangue.

Per poter capire questa frase dobbiamo considerare due leggi fondamentali dei gas: la “legge di Henry” e la “legge delle pressioni parziali di Dalton”.

Iniziamo con la legge di Dalton. Essa afferma che. “La pressione totale esercitata da una miscela ideale di gas ideali è uguale alla somma delle pressioni parziali che sarebbero esercitate dai gas se fossero presenti da soli in un eguale volume”.

Quindi nel caso dell’aria possiamo dire che la pressione totale è uguale alla somma della pressione parziale dell’azoto, dell’ossigeno, dell’argon, ecc.
Di conseguenza, considerando una pressione totale di 1 atm (pressione a livello del mare) e sapendo che l’azoto rappresenta il 78% dell’aria totale, possiamo dire che la sua pressione parziale (PN):

Se consideriamo una pressione totale più alta, ad esempio quella che si genera ad una profondità di 30 metri (4 atm):


La pressione parziale dell’azoto aumenta di 4 volte.

A questo punto subentra la “legge di Henry”, che afferma: “A temperatura costante, un gas che esercita una pressione sulla superficie di un liquido, vi entra in soluzione finché avrà raggiunto in quel liquido la stessa pressione che esercita sopra di esso”.




Questa legge ci dice che, maggiore è la pressione del gas che agisce sulla superficie del liquido, maggiore sarà la quantità di gas che si ritroverà disciolto in quello stesso liquido.
Un tipico esempio può essere fatto con la Coca Cola. Quando essa si trova imbottigliata e chiusa ermeticamente, l’anidride carbonica presente nello spazio vuoto sovrastante il liquido esercita una pressione tale da far sì che ci sia una grande quantità di gas disciolto. Nel momento in cui la bottiglia viene aperta, la pressione al di sopra del liquido diminuisce e la CO2 disciolta passa in fase gassosa formando la tipica effervescenza. Questo processo segue proprio la legge di Henry, infatti poi la CO2 continuerà a passare in fase gassosa fin quando non si ristabilirà l’equilibrio tra la pressione esterna (molto minore rispetto a quella precedente) e la quantità disciolta nella bevanda.

Quindi, tornando all’immersione subacquea, quando un individuo passa dalla pressione di 1 atm (pressione al livello del mare) a una pressione di, ad esempio, 4 atm (30 metri di profondità), la pressione parziale di azoto che si ritrova negli alveoli sarà 4 volte maggiore, e di conseguenza, per la legge di Henry, sarà maggiore anche la quantità di gas disciolto nel sangue.

Che effetti provoca la narcosi da azoto?

L’aumento della quantità di azoto disciolta nel sangue porta a degli affetti collaterali simili a quelli che si hanno quando si assume alcol. Infatti la narcosi da azoto viene anche chiamata “effetto Martini”.
Tra questi effetti ricordiamo: disorientamento temporale e spaziale, euforia, allucinazioni, disturbi nella coordinazione motoria, alterazioni a livello cognitivo e mnemonico, cambiamenti dell’umore e perdita di coscienza.
Questi sintomi si verificano di solito a partire da una pressione di 3-4 atm (20-30 metri di profondità).

La progressione dei segni e sintomi è:

  • 2-4 atm (10-30 metri): riduzione delle abilità e leggera euforia
  • 4 atm (30 metri): alterazione della memoria a breve termine, del tempo di reazione e dell’efficienza mentale
  • 4-6 atm (30-50 metri): euforia, riduzione delle capacità di calcolo, tendenza a fissarsi su un’idea
  • 6 atm (50 metri): sonnolenza, allucinazioni, alterazione della capacità di giudizio
  • 6-8 atm (50-70 metri): alterazione dell’umore
  • 8 atm (70 metri): deterioramento delle funzioni intellettuali e della manualità
  • 8-9 atm (70-80 metri): confusione mentale
  • 10 atm (90 metri): alterazioni della memoria, ipereccitabilità, euforia, allucinazioni e perdita di coscienza
Questi sintomi sono però reversibili e si risolvono quando la pressione si riduce, cioè quando l’individuo viene riportato a galla.

Come agisce l'azoto nel cervello?

La capacità dell’aria compressa, usata nelle immersioni, di provocare narcosi è noto dal 1835. Ma solo nel 1935, grazie a studi effettuati da Behnke et al., questo fenomeno venne associato ad un aumento della pressione di azoto.
Ma come fa l’azoto ad indurre un effetto simile?

Non ancora è del tutto noto, nel tempo sono state ipotizzate tre teorie in merito: la teoria lipidica, la teoria della fase acquosa e la teoria proteica.

1) Teoria lipidica.

La teoria lipidica è stata sviluppata dal lavoro di Behnke at al. basata sull’ipotesi di Meyer-Overton. Essa afferma che esiste un parallelismo tra l’affinità del gas per i lipidi e la sua potenza narcotica. Questo in quanto si pensa che gli effetti compaiono nel momento in cui il gas si discioglie nel doppio strato lipidico delle membrane delle cellule cerebrali espandone il volume fino a superare una soglia critica. Anche se, in realtà, alcuni studiosi sono in disaccordo con questa teoria.

2) Teoria della fase acquosa.

La teoria della fase acquosa, ipotizzata da Pauling, si basa sulla formazione di idrati. Gli atomi di gas chiamati “guest” sono trattenuti mediante forze intermolecolari da gabbie cristalline di un secondo agente (molecole di acqua) chiamato “host”, per formare i cosiddetti “clatrati”. Anche se in realtà questi idrati sono instabili nelle condizioni che si vengono a creare nel corpo umano.
Una teoria alternativa è quella che considera il gas capace di aumentare l’area di acqua altamente ordinata che lo circonda, formando dei cosiddetti “iceberg” che riducono la conduttanza del tessuto cerebrale. Tuttavia studi successivi non sono riusciti a confermare che il mezzo acquoso sia critico per l’effetto narcotico.

3) Teoria proteica.

Questa teoria afferma che l’azione dell’azoto sia dovuta a specifici legami a livello recettoriale. Questa è la teoria che attualmente sta riscuotendo più successo. Infatti vari studi dimostrano come l’azoto a pressione elevata possa legarsi direttamente a un sito modulatorio di recettori proteici e agire come modulatore allosterico.
Studi elettrofisiologici e neurofarmacologici inoltre suggeriscono che il principale bersaglio del azoto sia lo striato, a livello del quale si è visto, in seguito a studi in vivo, una riduzione del rilascio di glutammato e dopamina, associato ad un aumento dell’attività sul recettore GABAA.

In realtà la narcosi non è causata solo dall’azoto, ci sono altri gas che sono in grado di provocarla, cioè i gas nobili elio (He), neon (Ne), argon (Ar), kripton (Kr), xenon (Xe) e l’idrogeno. È stato visto che la potenza di induzione dell’effetto narcotico dipende dalla lipofilia della specie gassosa, cioè all’aumentare del carattere lipofilo aumenta la potenza.
Quindi la potenza narcotica avrà la seguente scala:


Come fanno i sub ad evitare la narcosi da azoto?

Da quanto detto, teoricamente, non si potrebbe scendere oltre i 30 metri di profondità senza incontrare questi sintomi, ma in realtà immersioni anche a profondità molto maggiori sono state fatte, com’è possibile?

Se si vogliono fare delle immersioni ad elevata profondità non si devono usare delle bombole ad aria compressa, ma delle bombole che contengono altri gas, come ad esempio l’elio (bassa potenza narcotica), come sostituti di azoto e ossigeno (anche esso è tossico ad elevate profondità, con effetti differenti rispetto all’azoto e ai gas nobili).
Ad esempio il Trimix costituito da una miscela di ossigeno e azoto, a bassa pressione parziale, ed elio.
Oppure l’Heliox, in cui si sostituisce completamente l’azoto con l’elio.

Per concludere...

Ovviamente questo non è l’unico pericolo a cui si va in contro nel corso di immersioni, tra gli altri ci sono: la vertigine alternobarica, il barotrauma, la sovradistensione polmonare, o anche la patologia da decompressione, dove l’azoto disciolto in eccesso nel sangue e non metabolizzato, in seguito ad una rapida risalita in superficie (decompressione rapida), può tornare in fase gassosa quando è ancora all’interno del flusso sanguigno o dei tessuti causando la formazione di bolle di gas che potrebbero essere fatali.

Da quanto detto si può facilmente intuire come le immersioni subacquee possano risultare molto pericolose, è quindi opportuno, nel caso si decida di fare questa bellissima esperienza, appoggiarsi a persone con grande esperienza o seguire dei corsi di addestramento.


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FONTI:

Rostain, Jean‐Claude, et al. "Neurochemistry of Pressure‐Induced Nitrogen and Metabolically Inert Gas Narcosis in the Central Nervous System." Comprehensive Physiology (2016).

Behnke, Albert R., et al. "The psychologic effects from breathing air at 4 atmospheres pressure." American Journal of Physiology--Legacy Content112.3 (1935): 554-558.

Pauling L. "A molecular theory of anaesthesia". Science, NY 134: 15-21 (1961).

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